End of Waste: potere esclusivo dello Stato
Il consiglio di Stato con la sentenza n. 1229 del 28/02/18 ha negato che esista una potestà concorrente rispetto a quella riconosciuta allo Stato dalla stessa direttiva 2008/98/CE (cd. direttiva quadro in materia di rifiuti), in materia di cessazione dello stato di rifiuto.
Tale decisione si fonda sul dato letterale fornito dall’art. 6 della direttiva, ai sensi del quale in assenza di criteri a livello comunitario, e solamente in tal caso, “gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile”. In sostanza, il Legislatore comunitario ha voluto rendere chiaro, se non esplicito, che la funzione della normativa nazionale è solamente sussidiaria rispetto a quella europea.
Se, quindi, in linea generale, la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto è riservata alla normativa comunitaria, l’Unione ha consentito che, in assenza di proprie previsioni, gli Stati membri possano valutare caso per caso tale possibile cessazione, peraltro, precisa il Consiglio di Stato, questo solo in assenza di indicazioni comunitarie e, dunque, non in contrasto con le stesse. In altri termini, il destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto è, per la direttiva, solo lo Stato, che deve anche confrontarsi con la Commissione europea. Quindi secondo il CdsS è la stessa direttiva a non riconoscere il potere di valutazione “caso per caso” ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato, ma solo allo Stato medesimo, posto che, citando la sentenza in commento, la predetta valutazione non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro.